EMILIO E IL MANDOLINO

Nel 1993/1994, ascoltando Emilio mentre suonava il mandolino, pensai che potevo provare a conoscere qualche elemento di musica per avvicinarmi allo strumento; iniziò, così, un percorso di apprendimento teorico e, un giorno, gli chiesi consigli per acquistarne uno.

Gli venne in mente un liutaio che aveva la propria attività in Sicilia e che, da tempo, conosceva come creatore di strumenti musicali a corda; la ditta era “MUSIKALIA”, titolare il Dr. Alfio Leone, la sede a Catania. Emilio mi scrisse su un foglio l’indirizzo, cercai il numero di telefono, mi misi in contatto e definii il tipo di strumento e le modalità per riceverlo attraverso una spedizione postale.

Arrivato il mandolino, Emilio provvide ad assemblare il ponte e le corde e, quindi, a metterlo in condizione di suonare, previa, ovviamente, accordatura che lui faceva senza diapason o strumenti elettronici, ma a orecchio. A quel punto ci voleva qualcuno che mi insegnasse almeno i rudimenti: come si doveva tenere lo strumento, a quali note corrispondevano le corde a vuoto o secondo su quale tasto venivano premute, come si doveva usare il plettro, o penna, per farle vibrare.

Scattò, allora, la seconda fase con l’elaborazione grafica della tastiera dello strumento - tutta disegnata a mano - con la scrittura di qualche esercizio e la trasposizione, con penna stilografica, di alcuni brani musicali.

Da ricordare, in particolare, O sole mio, Reginella campagnola e, soprattutto, l’introduzione e la strofa di Perfidia che in pochissimi ancora conoscono e da lui trascritte, a memoria, su un quadernino con righi musicali.

E, poi, l’incisione su nastro di “Lezioni musicali a distanza”, come Emilio definì il suo lavoro: spiegazione di come si riusciva a ricavare le note, della tecnica per produrre il classico suono del mandolino, la esemplificazione di qualche brano musicale con la interpretazione della melodia, la registrazione di basi musicali sulle quali poter fare esercizio e riuscire - cosa difficile - ad andare a tempo: un lavoro certosino e prezioso che si rivelò molto utile per entrare nella comprensione di questo meraviglioso strumento musicale a corde.

Le lezioni “a distanza” furono, poi, riprese, dopo qualche anno, con la registrazione di qualche altra melodia e base musicale - il titolo della seconda cassetta era: “Seguono grandi lezioni…”.

Che dire del rapporto tra maestro e allievo? La cosa più bella di questa esperienza - che non si è certamente conclusa, perché ho sempre il mandolino, ho sempre le cassette e ho il suo insegnamento sempre ben presente, oltre all’esortazione di non smettere di suonare - è che Emilio aveva capito che non sarei mai diventato un musicista in grado di seguire le sue orme e, tuttavia, è stato disponibile a insegnarmi le cose che ora so e, soprattutto, ha avuto la voglia di dedicarmi un po’ del suo tempo, che per lui era prezioso per le mille cose che aveva in testa e perché passava inesorabile e lo portava verso età più avanzate, senza mai recriminare e, anzi, sempre con fare quasi gioioso.

Io sono nato a Fabbiano, ma per motivi di lavoro la mia famiglia si è trasferita in altitalia quando ero piccolo. Dopo una decina di anni siamo rientrati. Nella testa di questo ragazzetto e poi, su su, giovanottello, c’è sempre stato il nome di Emilietto. Ne sentivo parlare, per le sue doti, per tutto quello che sapeva fare: lo consideravo una persona da scoprire, ma in gioventù non ho mai avuto occasione di incontrarlo.

L’opportunità è arrivata quando ero ormai in età matura, dopo il duemila. Ho sempre amato cantare e già allora facevo parte della Corale di Forte dei Marmi, diretta dal compianto professor Renato Maggi. Sull’onda dell’emozione per i tragici attentati avvenuti durante la guerra dell’Iraq, mi venne in mente di scrivere un inno ai Caduti di Nassirya, anche per esprimere in versi l’esperienza che avevo fatto militando nell’Arma dei Carabinieri.

La conoscenza personale di Emilio parte da qui.

Una volta scritto il testo, si trattava di dargli una veste musicale e in questo ho trovato la collaborazione di Oriente Angeli, che ha scritto la melodia, del maestro di banda di Levigliani, che ha fatto l’arrangiamento e di Renato, che ci ha creduto subito e ha messo l’inno nel repertorio della Corale. La prima uscita l’abbiamo fatta in occasione della festa della Virgo Fidelis, al Comando Provinciale dei Carabinieri di Lucca. La cosa ebbe molto successo e il Comandante volle inserire il mio testo nell’opuscolo che viene stampato ogni anno per questa ricorrenza. Anche in seguito siamo stati chiamati regolarmente a Lucca il 21 novembre per cantare l’inno dopo la Santa Messa dedicata alla Patrona dell’Arma.

Ma la cosa non è finita qui. Volevo fare di più, un filmato, un video, qualcosa per far conoscere l’inno anche al di fuori del mondo dell’Arma. Ne parlai a Renato e lui, senza esitare un attimo, mi disse: “Nessun problema: si chiama Emilio, vedrai che ci pensa lui”. Appena prospettata la cosa, Emilio la prese subito a cuore. Andammo dal Maresciallo di Forte dei Marmi, Giuseppe Alaimo, e mettemmo insieme tutta la documentazione necessaria per il video. Una sera, poi, col permesso di Don Piero, registrammo l’inno con la Corale nella Chiesa di Sant’Ermete. Emilio preparò gli impianti, curò le luci, il sonoro, la ripresa, tutto.

Da allora siamo diventati veramente amici, è stato a casa mia, ha conosciuto mia moglie. Eravamo sempre presenti ai suoi spettacoli, si andava al teatrino in salotto di Elisabetta Salvatori e a un certo punto Emilio e Renato suonavano insieme. Insomma c’era un rapporto affettivo privilegiato e a volte pensavo che forse questo dipendeva anche dalle nostre comuni origini montagnine.

Ci vedevamo anche in altre occasioni e, parlando, venne a sapere del lavoro che facevo. Io e i miei figli abbiamo una ditta di arredamenti per esercizi pubblici, con la falegnameria e il reparto di lavorazione dell’acciaio inossidabile. Emilio veniva a trovarmi durante i lavori in alcuni negozi del Forte. Un giorno mi disse: “O Remo, io ho una tastiera che per me è preziosa, ma ha un difetto: quando devo usarla per suonare nelle serate o negli spettacoli devo ammattire per sistemarla su un piano stabile. Mi ci vorrebbe...”. E mi spiegò in tre parole quello che gli serviva: un supporto, una colonna per lo strumento. Il giorno dopo, a casa, mi misi a pensare come potevo fare. Per telefono gli chiesi le misure e subito mi buttai a capofitto nel lavoro, cercando di realizzare qualcosa di funzionale e anche bello a vedersi.

Quando glielo portai ci voleva tutto a tenerlo, tanto era felice, e io più di lui perché avevo centrato in pieno l’obiettivo, quello che lui desiderava.

Da quel momento, in ogni suo spettacolo (e io ero sempre in prima o in seconda fila con mia moglie) prendeva la parola e mi indicava, mettendo in risalto il supporto della tastiera: “Ma guardate quell’omo lì che capolavoro ha fatto!”.

Un’altra volta come regalo di compleanno gli feci una specie di soprammobile in legno e acciaio che raffigurava un omino mentre suona la tastiera. E così l’amicizia si rinsaldava: in qualsiasi momento mi chiamava, o lo chiamavo io: se avevo bisogno di un consiglio per qualche motivo, lui c’era sempre.

Per esempio, sul fatto del canto: io ho questa passione, vado a cantare in giro, e una sera lo invitai a casa mia insieme a Lionello Salini. Ho una taverna attrezzata con l’impianto audio e così gli feci ascoltare qualche canzone. Emilio mi diede alcuni suggerimenti sul modo di utilizzare al meglio la mia voce “stentorea”, come diceva lui. Naturalmente mi insegnava anche Renato Maggi, che nella Corale più di una volta mi ha dato una parte da solista. Insomma, questo affetto tra Emilio, Renato e me, e poi mia moglie e la moglie di Renato… non passava settimana che non ci vedessimo e non combinassimo qualcosa insieme.

Voglio dire qualcosa di Lionello Salini, perché anche lui, da sempre amico e collaboratore di Emilio, ha contribuito a farmelo conoscere: quando ero in Valmalenco - facevo la quinta elementare - una volta venne la Libecciata in occasione di una festa locale. Mio padre e mio zio ci dissero che tra i suonatori c’erano dei nostri compaesani e così andammo tutti a Sondrio. Ricordo come se fosse ieri l’emozione che provai quando spuntò la banda, con la mascotte bionda, bellissima. In quell’occasione, appunto, conobbi Lionello, che aveva qualche anno più di me; poi, una volta rientrati in Versilia, siamo diventati amici. A Seravezza ho fatto l’avviamento e in seguito sono entrato nell’Arma dei Carabinieri. Lionello mi parlava spesso di Emilio, mi raccontava quello che faceva, lo aiutava a montare gli impianti e il palco. Insomma questo Miglietto era sempre mentovato, in ogni cosa c’era di mezzo Miglietto. Lo seguivo anche a RadioForteDeiMarmi e l’ho visto tante volte, ma sempre da lontano. D’altra parte, per la differenza d’età, avevo anche un certo timore ad avvicinarmi, sebbene in seguito mi sia ricreduto, perché ho visto che lui con i giovani c’è stato sempre bene.

E finalmente l’ho incontrato, quando avevo sessantacinque anni, grazie a Renato e alla mia passione per il canto. La grande amarezza è che a distanza di poco tempo se ne sono andati tutti e due. Renato calmo e riflessivo, Emilio esuberante, stimolante per tutti quelli che lo avvicinavano: si completavano a vicenda. Siamo rimasti tutti veramente orfani… Avevamo in progetto tante altre cose, le idee non mancavano.

Ma per me il suo capolavoro è questo video sui Caduti di Nassirya, con tutti i nomi, le persone che hanno collaborato al progetto, l’inno della Fedelissima all’inizio, che è il brano più bello che ci sia, i cantori con gli alamari e le signore con il foulard dell’Arma.

E poi c’è il quadro con la dedica che Emilio mi ha fatto come ringraziamento per le cose che avevo costruito per lui in acciaio. Da amici comuni sapevo che Emilio voleva contraccambiarmi in qualche modo e alla fine gli venne l’idea. Il quel periodo lavoravo all’arredo di due negozi nella zona della chiesa e una mattina mi vedo arrivare Emilio in bicicletta con un pacco confezionato a puntino. Non immaginavo minimamente cosa potesse esserci dentro e quando ho tolto la carta ho provato una grande sorpresa e un piacere indescrivibile: quelle parole scritte col cuore per me erano più importanti di tanti regali costosi e anonimi. Ora il quadro, con la firma così personale e inconfondibile di Emilio, lo tengo come un cimelio nel mio ufficio in azienda, perché mi ricorda quegli anni e soprattutto perché ho piacere che le persone, entrando, vedano come era profonda l’amicizia e la stima tra noi.



IL SITO ARNA'

La storia di questo quadro-dedica di Emilio Tarabella, che ora tengo in casa e che spesso guardo con un pizzico di nostalgia, parte da lontano.

Negli anni ‘50 mio nonno gestiva il Cinema Lido insieme alla famiglia Crott. Allora il Lido e il Principe erano punti di richiamo per giovani e adulti, in un paese che si stava riprendendo dopo il disastro della guerra. I film del neorealismo coinvolgevano emotivamente gli spettatori, che si immedesimavano nei personaggi e nelle vicende dello schermo. Ad esempio ricordo che durante la proiezione di un film con Renato Salvatori (Pàncola per noi fortemarmini), la sua mamma Giulia, che era venuta a veder recitare il figliolo, si spaventò e si mise a urlare quando in una scena il personaggio interpretato da Renato viene ucciso. Questo per dire come si vivevano le cose allora: un film faceva parte della vita di tutti noi.

Alla fine degli anni ‘50 anche Emilio si dedicò attivamente al cinema, e io ne ero al corrente perché nel suo film “Febbre di Marzo” recitava un amico di famiglia, il fotografo Narciso Luchetti. Molti anni dopo Emilio mi diede una sua videocassetta dedicata al Palio di Querceta con le scene principali del film. Tra l’altro, da ragazzino mi portarono a una delle prime edizioni del Palio e ne rimasi impressionato. Un altro ricordo di quegli anni è questo: quando il Giro d’Italia passò dal Forte, mia nonna gestiva la pensione “Norina” -  che poi era il suo nome - di fronte al Cinema Lido e nella pensioncina accanto c’era la squadra della Faema, col famoso scalatore Charly Gaul. Ricordo il via vai di ragazzi per farsi fare l’autografo  (il selfie non c'era ancora). In quell’occasione Emilio scrisse una canzone e stampò una rivista per celebrare l’evento sportivo. Sono piccole memorie personali che tratteggiano il modo di essere e di vivere di allora; ed Emilio ne faceva parte a pieno titolo.

Negli anni ‘60 Nevio Franceschi mi chiamò a lavorare d’estate alla Capannina e per più di un decennio mi occupai della cassa. Spesso, nei momenti di calma, mi intrattenevo con Gaetano Tarabella, lo storico parcheggiatore, e qualche volta vedevo il figlio Emilio.

La conoscenza vera e propria di Emilio, però, l’ho fatta in seguito, negli anni ‘70. Mi piaceva sentirlo parlare di mio nonno, che lui aveva conosciuto molto bene, ed ero stupito dalla fantasia e capacità che metteva nei suoi progetti. Emilio era attratto da tutto ciò che poteva in qualche modo coinvolgere le persone: la musica, gli spettacoli, il cinema, lo scrivere. Lo frequentai ancora più spesso quando intrapresi l’attività di agente immobiliare in un piccolo ufficio situato in viale Mazzini davanti alle scuole (ora sede del Municipio). Una volta mi raccontò che, proprio lì dove io avevo l’agenzia, negli anni ‘40 c’era l’ingresso della sua pista da ballo, con la cassa per pagare il biglietto.

E così quello che nel dopoguerra era un punto di ritrovo significativo per il paese sarebbe tornato ad esserlo qualche decennio dopo, sia pure in un altro modo. Infatti da me la gente veniva sì a cercar casa, venivano un po’ a tutte le ore e io ero sempre lì, ma non venivano solo per quello. A parte la mia attività professionale, ma forse anche per questo contatto costante con le persone, io mi sono sempre impegnato nella vita associativa del paese; ad esempio in passato avevo messo insieme un comitato per salvare il Cinema Teatro Principe - importante luogo di aggregazione cittadina nel quale anche Emilio aveva organizzato spettacoli fino agli anni ‘50 - quando si prospettava di trasformarlo in negozi e appartamenti, come poi è avvenuto. In seguito sono stato segretario dell’Associazione Commercianti e poi sono entrato in politica, diventando consigliere comunale e assessore nella giunta Cardini. Qui ho ritrovato Emilio, che con le sue apparecchiature ci aiutò nella campagna elettorale del ‘93 e poi in quella del ‘97. Su questo punto devo dire che lui, benché avesse un orientamento politico preciso e noto a tutti, è sempre stato al di sopra delle parti: non ha mai fatto politica attiva ed è stato apprezzato e chiamato da tutti: da Cardini, ma anche da Molino prima, e successivamente da Bertola e da Buratti. Le sue iniziative piacevano a tutte le amministrazioni, a prescindere dal colore politico.

Tornando alla mia agenzia, mentre il paese si stava trasformando e perdeva piano piano molti luoghi tradizionali di incontro (e forse anche un po’ della propria identità), quel locale diventava sempre di più un posto dove discutere dei problemi cittadini; ricordo, ad esempio, le battaglie di carattere ambientale per il fiume Versilia invaso dalla marmettola oppure la raccolta di firme per i referendum. Poi c’erano i più anziani, che ci riportavano indietro, noi nati dopo la guerra, alla memoria storica di Forte dei Marmi e della Versilia. In particolare ricordo con affetto “Emilietto” Tarabella, che dava sempre un grande contributo informativo alle nostre discussioni, sapendosi destreggiare sui più vari argomenti. Ci raccontava le drammatiche situazioni che aveva vissuto nel periodo bellico, ascoltava le storie dei coetanei, parlava della ripresa del dopoguerra e del suo amore - lui fiero di essere zanese – per tutta la Versilia, dalla montagna, alla piana, al mare. E noi gli facevamo domande sulle sue numerose iniziative per Forte dei Marmi e per l’entroterra. Emilio ci parlava di un mondo che a poco a poco stava scomparendo, ma al tempo stesso si manteneva al passo con le trasformazioni in atto nella società.

Un’altra persona con cui ho vissuto momenti importanti è stato il mio presidente Alberto Baldini, che, tra l’altro, aveva un legame di parentela con Emilio. Emilio frequentava la casa di Alberto e spesso ce lo trovavo a parlare di computer e di programmi di grafica e impaginazione. Emilio prese rapidamente familiarità con questo nuovo strumento tecnologico, diventando un punto di riferimento per molti fortemarmini che muovevano i primi passi nell’informatica.

Un frequentatore assiduo della mia agenzia, anche per ragioni politiche, era Vivaldo Tonini, il quale aveva un ottimo rapporto con Emilio e con lui rifletteva spesso sulle caratteristiche di questo mio ufficio, che era un richiamo per i fortemarmini desiderosi di incontrarsi di persona - non come i contatti virtuali di ora su facebook.

Siamo verso la fine degli anni ‘90; ormai il computer si stava diffondendo (ce n’era uno anche nel mio ufficio) e si cominciava a parlare di internet. Ricordo che il primo sito web a Forte dei Marmi lo realizzò l’amministrazione Cardini, grazie anche alla signora Milly Moratti, che fece appositamente venire da Milano un esperto informatico. La signora, innamorata del Forte, si unì a noi nella campagna elettorale del ‘97 e Emilio ci fece un servizio fotografico alla villa Moratti per la presentazione della lista; a me, poi, come candidato sindaco, fece un’intervista nella sua mitica soffitta.

In questa atmosfera di grandi innovazioni, che rapidamente avrebbero preso piede negli anni successivi, Emilio e Vivaldo immaginarono la mia agenzia, nella quale ci si scambiavano idee e informazioni, come una sorta di sito internet. Oggi forse l’avrebbero definita un social network, con l’inestimabile valore aggiunto, però, che l’incontro lì era reale e personale.

Tutto questo Emilio lo sintetizzò in forma poetica in un quadro che un giorno, tornando da una commissione in paese, mi trovai appeso in ufficio (e ci sarebbe rimasto per tredici anni, fino alla chiusura dell’attività). Fu per me una sorpresa di cui conservo ancora il piacevole ricordo. Seppi poi che erano stati Vivaldo e Emilio a orchestrare la cosa: con un pretesto mi avevano allontanato dall’ufficio; del resto capitava spesso che, dovendomi assentare, affidassi la custodia del locale agli amici seduti a discutere sulla panca che mi aveva fatto mio suocero. Prima del mio ritorno Emilio recuperò il quadro lasciato temporaneamente in un luogo sicuro, forse un negozio vicino, e Vivaldo, munito di martello e chiodi, lo sistemò sulla parete lato Massa, in modo che io lo vedessi subito entrando. Si sanciva così in modo definitivo la metamorfosi del mio ufficio da Agenzia Federigi a Sito Arna’.

Questa foto Emilio me la fece nell’agosto 2012. Il pannello con la carta topografica di Forte dei Marmi, che lui aveva realizzato nel ‘65 e successivamente aggiornato più volte, era stato installato da poco in piazza Dante, davanti al Municipio. Quel giorno lui entrò nel mio ufficio, che era proprio di fronte, sull’altro lato di viale Mazzini, invitandomi a posare per lo scatto (l’attività immobiliare la chiusi poi nel gennaio 2013).


OMAGGIO AL SITO ARNA’

Forte dei Marmi

Omaggi a Te,
piccola e prestigiosa Stanza-Ufficio
che nella seconda metà
degli Anni ‘40
funzionasti da Biglietteria e Ingresso
per la mia impresa di Ballo, Cinema e Sport,
operante, in versione invernale,
nell’allora Garage Verona.

Omaggi e felicitazioni a Te,
Sito attuale
d’intensa attività monolocale,
perché, pur restando uguale
con la stessa misura perimetrale,
da un po’ di tempo
sei diventato grande,

accattivante, calamitante
e tanto importante,
da risultare,
talvolta e in certe faccende,
determinante.

E non mi riferisco
alla mole di permute, transazioni,
caparre, cessioni e locazioni
che da alcuni lustri
sono state via via
immagazzinate negli scaffali
e macinate sulla scrivania…
Nemmeno penso a Te
come fucina di complicate elaborazioni
che, nella fiduciosa speranza
di timorosi o furbastri
contribuenti entrati in questa stanza,
dovrebbero ragionevolmente mitigare
i tributi e balzelli
esatti dallo Stato…

Infatti
- o piccola stanza,

dirimpettaia della Scuola
che in tempo remoto
mi fu fonte di sapere… Elementare -
è tutt’altra cosa
quella che ti ha fatto diventare
il SITO centrale del pensiero paesano;
che ti ha trasformato
in Sancta Sanctorum
di ciò che rimane
della nostra verace paesanità.

Quella “cosa” è il carisma adamantino
di Colui che vi opera,
in vari ruoli,
con multiforme e napoleonica
contemporaneità
che lo fa essere sempre “attivato”
(senza perdere il filo
sui vari e simultanei argomenti trattati),
come un automatico centralino
continuamente agganciato su Tutto e con Tutti.

Un carisma reso potente
dall’onestà e dalla serenità
con cui Egli utilizza
- in ogni situazione
e con qualsiasi tipo di interlocutore -
la propria razionale abilità di capire e agire.
Un carisma che rende tanto piacevole
(e spesso anche psicologicamente molto utile)
il ritrovarsi a parlare e ad ascoltare
in questo Punto d’Incontro Paesano
da coinvolgere e attirare a sé
un numero crescente di persone,
di vario colore e variegata tipologia.

Persone che vanno e vengono,
senza orario né regola né preavviso,
or solitarie
or formando gruppetti omogenei o eterogenei,
con quotidiana e caleidoscopica casualità.
Persone che sono felici di essere attratte
dal naturale magnete di quel carisma,
perché qui, nella stanzetta trasformata dal Nostro
in Sancta Sanctorum paesano
(l’unico, di tale tipo, esistente a Forte dei Marmi),
ognuno può dire ciò che ritiene giusto dire
e può ascoltare tutto quello
che gli altri ritengono giusto dire.

E la gamma delle argomentazioni,
dal livello più spicciolo
a quello più alto possibile,
da quello rionale a quello internazionale,
è sempre tanto ampia da rendere
sempre molto… redditizio
il tempo “speso” in tale parlare e ascoltare.

Ecco perché
siamo già tanti, e sempre più saremo,
a sentire sempre più spesso
il desiderio di respirare un po’
di quella proficua serenità.
Ovvero:
siamo già tanti, e sempre di più saremo,
nel ritrovarci a dire, sempre più spesso:
Vado da Arna’!


EMILIO TARABELLA

Descrizione di Arnaldo Federigi e del suo habitat,
realizzata nel mese di novembre dell’Anno Domini Duemila

Con il patrocinio del

Comune Forte dei Marmi

©Emilio Tarabella | 2016

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