Remo Verona

Io sono nato a Fabbiano, ma per motivi di lavoro la mia famiglia si è trasferita in altitalia quando ero piccolo. Dopo una decina di anni siamo rientrati. Nella testa di questo ragazzetto e poi, su su, giovanottello, c’è sempre stato il nome di Emilietto. Ne sentivo parlare, per le sue doti, per tutto quello che sapeva fare: lo consideravo una persona da scoprire, ma in gioventù non ho mai avuto occasione di incontrarlo.

L’opportunità è arrivata quando ero ormai in età matura, dopo il duemila. Ho sempre amato cantare e già allora facevo parte della Corale di Forte dei Marmi, diretta dal compianto professor Renato Maggi. Sull’onda dell’emozione per i tragici attentati avvenuti durante la guerra dell’Iraq, mi venne in mente di scrivere un inno ai Caduti di Nassirya, anche per esprimere in versi l’esperienza che avevo fatto militando nell’Arma dei Carabinieri.

La conoscenza personale di Emilio parte da qui.

Una volta scritto il testo, si trattava di dargli una veste musicale e in questo ho trovato la collaborazione di Oriente Angeli, che ha scritto la melodia, del maestro di banda di Levigliani, che ha fatto l’arrangiamento e di Renato, che ci ha creduto subito e ha messo l’inno nel repertorio della Corale. La prima uscita l’abbiamo fatta in occasione della festa della Virgo Fidelis, al Comando Provinciale dei Carabinieri di Lucca. La cosa ebbe molto successo e il Comandante volle inserire il mio testo nell’opuscolo che viene stampato ogni anno per questa ricorrenza. Anche in seguito siamo stati chiamati regolarmente a Lucca il 21 novembre per cantare l’inno dopo la Santa Messa dedicata alla Patrona dell’Arma.

Ma la cosa non è finita qui. Volevo fare di più, un filmato, un video, qualcosa per far conoscere l’inno anche al di fuori del mondo dell’Arma. Ne parlai a Renato e lui, senza esitare un attimo, mi disse: “Nessun problema: si chiama Emilio, vedrai che ci pensa lui”. Appena prospettata la cosa, Emilio la prese subito a cuore. Andammo dal Maresciallo di Forte dei Marmi, Giuseppe Alaimo, e mettemmo insieme tutta la documentazione necessaria per il video. Una sera, poi, col permesso di Don Piero, registrammo l’inno con la Corale nella Chiesa di Sant’Ermete. Emilio preparò gli impianti, curò le luci, il sonoro, la ripresa, tutto.

Da allora siamo diventati veramente amici, è stato a casa mia, ha conosciuto mia moglie. Eravamo sempre presenti ai suoi spettacoli, si andava al teatrino in salotto di Elisabetta Salvatori e a un certo punto Emilio e Renato suonavano insieme. Insomma c’era un rapporto affettivo privilegiato e a volte pensavo che forse questo dipendeva anche dalle nostre comuni origini montagnine.

Ci vedevamo anche in altre occasioni e, parlando, venne a sapere del lavoro che facevo. Io e i miei figli abbiamo una ditta di arredamenti per esercizi pubblici, con la falegnameria e il reparto di lavorazione dell’acciaio inossidabile. Emilio veniva a trovarmi durante i lavori in alcuni negozi del Forte. Un giorno mi disse: “O Remo, io ho una tastiera che per me è preziosa, ma ha un difetto: quando devo usarla per suonare nelle serate o negli spettacoli devo ammattire per sistemarla su un piano stabile. Mi ci vorrebbe...”. E mi spiegò in tre parole quello che gli serviva: un supporto, una colonna per lo strumento. Il giorno dopo, a casa, mi misi a pensare come potevo fare. Per telefono gli chiesi le misure e subito mi buttai a capofitto nel lavoro, cercando di realizzare qualcosa di funzionale e anche bello a vedersi.

Quando glielo portai ci voleva tutto a tenerlo, tanto era felice, e io più di lui perché avevo centrato in pieno l’obiettivo, quello che lui desiderava.

Da quel momento, in ogni suo spettacolo (e io ero sempre in prima o in seconda fila con mia moglie) prendeva la parola e mi indicava, mettendo in risalto il supporto della tastiera: “Ma guardate quell’omo lì che capolavoro ha fatto!”.

Un’altra volta come regalo di compleanno gli feci una specie di soprammobile in legno e acciaio che raffigurava un omino mentre suona la tastiera. E così l’amicizia si rinsaldava: in qualsiasi momento mi chiamava, o lo chiamavo io: se avevo bisogno di un consiglio per qualche motivo, lui c’era sempre.

Per esempio, sul fatto del canto: io ho questa passione, vado a cantare in giro, e una sera lo invitai a casa mia insieme a Lionello Salini. Ho una taverna attrezzata con l’impianto audio e così gli feci ascoltare qualche canzone. Emilio mi diede alcuni suggerimenti sul modo di utilizzare al meglio la mia voce “stentorea”, come diceva lui. Naturalmente mi insegnava anche Renato Maggi, che nella Corale più di una volta mi ha dato una parte da solista. Insomma, questo affetto tra Emilio, Renato e me, e poi mia moglie e la moglie di Renato… non passava settimana che non ci vedessimo e non combinassimo qualcosa insieme.

Voglio dire qualcosa di Lionello Salini, perché anche lui, da sempre amico e collaboratore di Emilio, ha contribuito a farmelo conoscere: quando ero in Valmalenco - facevo la quinta elementare - una volta venne la Libecciata in occasione di una festa locale. Mio padre e mio zio ci dissero che tra i suonatori c’erano dei nostri compaesani e così andammo tutti a Sondrio. Ricordo come se fosse ieri l’emozione che provai quando spuntò la banda, con la mascotte bionda, bellissima. In quell’occasione, appunto, conobbi Lionello, che aveva qualche anno più di me; poi, una volta rientrati in Versilia, siamo diventati amici. A Seravezza ho fatto l’avviamento e in seguito sono entrato nell’Arma dei Carabinieri. Lionello mi parlava spesso di Emilio, mi raccontava quello che faceva, lo aiutava a montare gli impianti e il palco. Insomma questo Miglietto era sempre mentovato, in ogni cosa c’era di mezzo Miglietto. Lo seguivo anche a RadioForteDeiMarmi e l’ho visto tante volte, ma sempre da lontano. D’altra parte, per la differenza d’età, avevo anche un certo timore ad avvicinarmi, sebbene in seguito mi sia ricreduto, perché ho visto che lui con i giovani c’è stato sempre bene.

E finalmente l’ho incontrato, quando avevo sessantacinque anni, grazie a Renato e alla mia passione per il canto. La grande amarezza è che a distanza di poco tempo se ne sono andati tutti e due. Renato calmo e riflessivo, Emilio esuberante, stimolante per tutti quelli che lo avvicinavano: si completavano a vicenda. Siamo rimasti tutti veramente orfani… Avevamo in progetto tante altre cose, le idee non mancavano.

Ma per me il suo capolavoro è questo video sui Caduti di Nassirya, con tutti i nomi, le persone che hanno collaborato al progetto, l’inno della Fedelissima all’inizio, che è il brano più bello che ci sia, i cantori con gli alamari e le signore con il foulard dell’Arma.

E poi c’è il quadro con la dedica che Emilio mi ha fatto come ringraziamento per le cose che avevo costruito per lui in acciaio. Da amici comuni sapevo che Emilio voleva contraccambiarmi in qualche modo e alla fine gli venne l’idea. Il quel periodo lavoravo all’arredo di due negozi nella zona della chiesa e una mattina mi vedo arrivare Emilio in bicicletta con un pacco confezionato a puntino. Non immaginavo minimamente cosa potesse esserci dentro e quando ho tolto la carta ho provato una grande sorpresa e un piacere indescrivibile: quelle parole scritte col cuore per me erano più importanti di tanti regali costosi e anonimi. Ora il quadro, con la firma così personale e inconfondibile di Emilio, lo tengo come un cimelio nel mio ufficio in azienda, perché mi ricorda quegli anni e soprattutto perché ho piacere che le persone, entrando, vedano come era profonda l’amicizia e la stima tra noi.